LA COMPLESSITA’ DEL FENOMENO “VITA” TRA FILOSOFIA E BIOLOGIA

0

Che cos’è l vita? E’ una delle domande che filosofia e scienza hanno sempre avuto in comune. Il dibattito parte sin dall’ antichità per finire ai giorni nostri. Se da un lato la vita biologica, quella naturale, ha sviluppato nei secoli innumerevoli prove scientifiche del funzionamento degli organi viventi e delle relazioni con l’ ambiente, dall’ altro lato la filosofia non poteva soffermarsi sulle uniche ragioni biologiche e naturali e si porta dietro un carico simbolico notevole

LA COMPLESSITA’ DEL FENOMENO “VITA” TRA FILOSOFIA E BIOLOGIA

di Susanna Camoli

Che cos’è l vita? E’ una delle domande che filosofia e scienza hanno sempre avuto in comune. Il dibattito parte sin dall’ antichità per finire ai giorni nostri. Se da un lato la vita biologica, quella naturale, ha sviluppato nei secoli innumerevoli prove scientifiche del funzionamento degli organi viventi e delle relazioni con l’ ambiente, dall’ altro lato la filosofia non poteva soffermarsi sulle uniche ragioni biologiche e naturali e si porta dietro un carico simbolico notevole attribuito alla vita e al vivente a dimostrazione che c’è sempre qualcosa che trascende il solo funzionamento chimico/biologico. La biologia considera la vita nel suo ciclo naturale di nascita, crescita, e morte, di evoluzione, dello sviluppo e funzionamento degli organi e la capacità dell’ uomo di adattarsi e sopravvivere. La filosofia invece oltre le evidenze scientifiche, ha sempre cercato dei significati, di dare un senso alla vita, sempre in base alla propria cultura, al proprio sviluppo nell’ ambiente, alla religione ecc… La risposta della biologia resta ancora misteriosa quando ad esempio ci troviamo a parlare di temi come la coscienza, ancora oggi questione aperta e oggetto di studi.

“Io sono come il piccolo anemone che ho visto una volta a Roma, nel giardino; di giorno si era spalancato tanto che non riusciva più a chiudersi per la notte. Era terribile vederlo nel prato buio, aperto, ancora intento ad accogliere tutto nel calice follemente spalancato, con troppa notte sopra di sé che non voleva finire […] Anch’io sono inguaribilmente volto all’ esterno, e dunque tutto mi distrae, e non rifiuto nulla; i miei sensi, senza chiedermelo, si riversano in mille cose che disturbano; se c’è un rumore, io mi annullo e sono quel rumore. E siccome ciò che si abitua allo stimolo vuole poi essere stimolato, io in fondo voglio essere disturbato, e lo sono, senza fine”

In questa poesie di Rilke è rappresentato perfettamente il rapporto complesso tra l’ Io e il mondo esterno. L’ uomo sempre esposto a stimoli esterni ad esso, sempre costretto a sentire, a percepire, ad assorbire per poi elaborare quanto accade dentro e fuori se stesso, certamente qui entra in gioco la biologia, le neuroscienze, poiché quanto percepisce ed elabora il nostro cervello, come ormai è noto, è spiegabile tramite la scienza e le varie interazioni chimiche e  fisiche delle reazioni del cervello o del nostro organismo sono anche osservabili. Ciò che sfugge alla scienza è invece, il perché, l’ uomo senta sempre di essere in pericolo, in una situazione precaria vivendo stati di angoscia e cercando di occupare il suo tempo, perché l’ uomo, a differenza di altri animali, avendo sviluppato maggiormente i sensi, prova angoscia, dolore, sofferenza.

L’ uomo ha la capacità di pensare e il dibattito su queste tematiche è lungo e complesso, da Aristotele, alla filosofia cristiana, a Cartesio, Kant, si è sempre cercato di attribuire certi stati dell’ uomo all’ esterno di esso, che fosse un Dio, l’ anima o il cogito cartesiano.

La distinzione anima-corpo, mente-corpo, il meccanicismo e il vitalismo, le due correnti che poi avranno a che fare con le prime forme di autonomia della biologia, correnti filosofiche che riducono le possibilità del corpo sempre a qualcosa di diverso dalla sua molteplicità, non come corpo nel suo complesso ma separato dall’ io, inteso come soggetto pensante diviso dal suo essere “corpo”.

Tornando alla poesia di Rilke, spesso l’ uomo preferisce chiudersi di fronte la minaccia della “notte” per evitare il dolore, ci si sottrae alle esperienze che possano in qualche modo recare angoscia e turbamenti evitando così di vivere. Nell’ ‘800 la biologia inizia a diventare disciplina autonoma,  e si inizia a dare maggiore importanza al corpo, non inteso più come macchina ma come qualcosa che è in movimento, capace di trasformarsi, adattarsi.

Uno dei primi filosofi ad interessarsi alle nuove teorie fu proprio Friedrich Nietzsche, che al corpo aveva dato sempre estrema importanza, corpo, vita e potenza sono temi centrali, infatti afferma: <<Abbastanza spesso mi sono chiesto se la filosofia, in un calcolo complessivo, non sia stata fino ad oggi un’interpretazione del corpo e un fraintendimento del corpo>>, respinge, quindi, l’idealismo e sostiene il primato del corpo come fonte di ogni interpretazione.

La volontà di potenza, altro concetto fondamentale nella filosofia nietzschiana, è una rivalutazione dell’esistenza che riguarda un futuro stato dell’umanità, per il filosofo è l’ essenza stessa del vivente che, fa tesoro della condizione “tragica” e dolorosa della vita, il dolore, la sofferenza, le ferite, servono a rafforzare l’ uomo che le assimila, le accoglie in sé, le supera, solo così il soggetto può resistere e sopravvivere, un po’ come fa l’ anemone della poesia di Rilke che sente di non potersi sottrarre alla possibilità di accogliere il buio, anche quando questo gli sembra un peso insostenibile.

Sulla scia di Nietzsche anche Heidegger, siamo già nel ‘900, si concentra sulla condizione umana di essere “gettati” nel mondo senza un motivo preciso e senza un’origine predefinita. L’essere umano vive la propria esistenza in modo autentico, confrontandosi con la propria finitudine e la propria responsabilità.  Heidegger individua come situazione fondamentale per l’ essere umano, la sfera emotiva, precisamente partendo dalla noia.

 L’uomo si annoia, avverte lo scorrere del tempo e l’ insensatezza della vita per cui tende a sfuggire alla noia quando non è impegnato nel mondo, con il divertissement, la distrazione, l’ uomo si annoia perché è “pieno di mondo”, il mondo che lo circonda e che osserva lo riempie di significati che trascendono la semplice vita biologica per cui tende ad angosciarsi, a pensare alla propria vita come precaria, teme la morte, non si accontenta, cerca sempre “altro”, al contrario degli animali che, invece, hanno un mondo meno complesso e seguono esclusivamente il ciclo naturale della vita: nascita, crescita e morte.

Nel corso del ‘900 la biologia, ormai affermatasi come scienza autonoma, porta numerosi cambiamenti, con le sue scoperte, come il DNA, il funzionamento delle cellule, tutto ciò favorisce la vittoria del riduzionismo e del determinismo genetico, gli organismi viventi e l’uomo sono il “risultato della somma dei loro geni”. Si individuano delle caratteristiche specifiche volte a distinguere un organismo vivente da uno non vivente, come il ciclo di vita, la riproduzione, l’ adattamento all’ ambiente e reazioni agli stimoli esterni, la trasformazione dell’ energia tramite il nutrimento, l’ omeostasi, ovvero, “la capacità degli esseri viventi di mantenere i propri valori di funzionamento all’interno di un processo dinamico, attraverso processi di auto regolazione”.

L’ uomo ha quindi la capacità di auto-regolarsi, di cambiare, di adattarsi e trasformarsi, in base alle circostanze e all’ ambiente.

Il discorso sarebbe molto lungo da racchiudere in poche righe, il rapporto dell’ uomo in relazione all’ ambiente in cui vive così come la percezione di sé stesso è mutato molte volte nel tempo, grazie alla scienza, alle scoperte e agli studi incessanti. Vorrei chiudere con un passo di Friedrich Nietzsche nelle considerazioni inattuali del 1874, che riprende il discorso più filosofico espresso in precedenza, richiamato successivamente anche da Heidegger sulla sua scia, poiché nelle idee del filosofo in questione trovo sempre molta attualità, sia a livello umano che scientifico/filosofico, e insegnamenti da cui attingere preziosamente:

<<Osserva il gregge che pascola davanti a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi: salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo. È così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere ed il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell’attimo e perciò né triste né annoiato… L’uomo chiese una volta all’animale: “Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della felicità?” L’animale voleva rispondere e dice: “Ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire” – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque: così l’uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre accanto al passato: per quanto lontano egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l’attimo, in un lampo è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice “Mi ricordo”>>.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *